La prima normativa italiana sulle acque ad uso ricreativo risale al 1896. Vietava la balneazione entro i 200 metri dallo sbocco di fogne.
Successivamente, nel 1971, il Ministero della Sanità definiva, per le acque destinate ad uso ricreativo primario, una normativa igienica limitata al solo aspetto microbiologico e in particolare al solo parametro “Coliformi fecali”.
L´attuale normativa nazionale sulle acque di balneazione deriva dalla direttiva comunitaria n. 76/160 dell´8 dicembre 1975 che perseguiva due scopi fondamentali: la tutela della salute pubblica e la salvaguardia dell´ambiente. Già dai primi anni di applicazione delle norme comunitarie è emersa la necessità di sottoporre la direttiva a una revisione. In numerosi seminari nazionali ed internazionali sono state avanzate proposte di eliminazione di alcuni parametri poco significativi, come i coliformi totali, e di introdurne di nuovi, come i batteriofagi. Il Consiglio dell´Unione Europea ha concretizzato una proposta di direttiva nell´aprile 1994 che tende a semplificare l´applicazione delle norme privilegiando i parametri ad elevata valenza sanitaria ed eliminando i parametri superflui, anche nell´intento di evitare inutili oneri finanziari agli Stati Membri. La proposta è stata aggiornata nel novembre 1997. Nel 2000 è stato sperimentato un nuovo protocollo basato su principi innovativi, che non è ancora stato concretizzato in una direttiva formale.
Il DPR n. 470 dell´8 giugno 1982, che recepisce, pur se con notevole ritardo, la direttiva CEE 76/160, impone limiti particolarmente severi alla qualità delle acque di balneazione ma non prevede opere di risanamento ambientale.
Per definire la balneabilità delle acque il DPR 470/82 considera 12 parametri: tre sono indicatori di inquinamento fecale (Coliformi totali, Coliformi fecali, Streptococchi fecali); due, facoltativi, sono rivolti alla ricerca di specifici patogeni (Salmonella e Enterovirus); altri quattro parametri sono essenzialmente indicatori di inquinamento di origine industriale (pH, fenoli, sostanze tensioattive, oli minerali);
i restanti tre parametri (ossigeno disciolto, colorazione, trasparenza) forniscono indicazioni correlabili ai processi eutrofici e ai problemi estetici delle acque ma potrebbero anche interessare l´aspetto igienico-sanitario in caso di “fioritura” di alghe produttrici di biotossine.
La normativa di recepimento italiana è stata ben più restrittiva, per alcuni versi, delle indicazioni della Comunità Europea, a differenza di altri stati europei che hanno seguito con maggior scrupolo la direttiva CEE. L´approccio particolarmente severo dell´Italia, rispetto ai partner europei, trova la sua spiegazione fondamentale nelle seguenti peculiarità:
- diverse condizioni climatiche e idrologiche con maggiore velocità di inattivazione dei contaminanti microbiologici;
- pratica intensiva ed estensiva della balneazione.
Per altri versi, secondo la legge italiana il superamento dei limiti per uno o più parametri non comporta automaticamente il giudizio di inidoneità alla balneazione: tale giudizio è subordinato all´esito analitico di più prelievi successivi.