Origini
La pesca subacquea in apnea è stata praticata dall’uomo inizialmente in forme primitive per procurarsi sia il cibo che per raccogliere specie essenziali per svolgere le sue attività, vedi conchiglie per colorare i tessuti, spugne per la pulizia e perle per scambi commerciali quindi per ottenere generi utili generalmente per la cosmesi o per il commercio. Fino agli anni ’40 è stata quasi sempre praticata a corpo libero senza e con strumenti, anche rudimentali, quali occhialini, coltello e/o lunghe aste, soprattutto dai pescatori di ostriche nell’Oceano Pacifico e di spugne nel Mediterraneo. L’evoluzione nella sua forma moderna è avvenuta però soprattutto nell’ultimo secolo, grazie alle innovazioni nelle tecniche e nelle attrezzature subacquee. Verso gli anni ’50 ha quindi avuto un costante e notevole sviluppo tanto che la FIPS, (poi FIPSAS) allora federazione di sola pesca sportiva dalla superficie, dette inizio ad una lunga serie di competizioni di pesca subacquea, e per forza di cose si occupò anche dello sviluppo delle attività subacquee in generale. Ad oggi viene ancora praticata prevalentemente per sport e attività ricreativa, ma anche come attività professionale, con il rilascio di licenze di pesca subacquea specifiche da parte delle regioni. Storicamente denominata “pesca subacquea”, oggi il termine più in uso è pesca in apnea per sottolinearne il valore sportivo e la radicale differenza rispetto a quella effettuata in passato con l’ausilio di autorespiratori ed oggi vietata tranne che per i professionisti ma solo per corallo ed echinodermidi. La pesca subacquea in apnea viene anche praticata a livello professionale con la differenza di non avere limiti di cattura in peso e numero di specie.
Caratteristiche
La pesca subacquea in apnea è riconosciuta dalla normativa nazionale e comunitaria al pari di altre forme di pesca sportiva di superficie. La sportività e la particolarità di tale disciplina è determinata dal fatto che l’immersione si svolge in apnea, cioè trattenendo il fiato per pochi minuti (massimo 2-3 per i migliori atleti), cercando la preda libera nel suo habitat naturale. Questa condizione richiede una preparazione atletica specifica, un buon livello generale di fitness e uno stato di salute dell’apparato cardio-circolatorio ottimale. Sebbene l’azione di pesca possa essere macroscopicamente schematizzata in poche fasi: preparazione in superficie, discesa, appostamento (o avvicinamento, o ingresso in tana), tiro, risalita, la pesca in apnea è in realtà un’attività ad alto grado di complessità. Per ottenere risultati è necessario, oltre ad avere una buona apnea, possedere la capacità di gestirla. Il pescatore deve avere, allo stesso tempo, un particolare adattamento all’ambiente marino e una profonda conoscenza delle abitudini delle specie bersaglio che si acquisisce con l’esperienza di moltissime ore trascorse in acqua. Una caratteristica esclusiva di questa tecnica di pesca è la capacità selettiva di scegliere il tipo e le dimensioni delle prede. Una calzante definizione é Release and Catch dove il rilascio si esprime nella decisione a monte della cattura. Il release and catch sostituisce la pratica del catch and release propria della pesca con ami dalla superficie, il pesce viene “rilasciato” senza alcuna ferita, poiché il pescatore, in via preventiva, sceglie di non colpirlo, riservandosi esclusivamente la cattura del pesce che vorrà consumare. Si predilige la cattura, anche singola, di pesci di maggiori dimensioni e con un coefficiente di difficoltà più alto. I fondali adatti a questa pratica sono prevalentemente rocciosi, o di coralligeno di piattaforma comunemente identificato con il termine grotto, ma si ottengono lusinghieri risultati anche in zone meno ricche di anfratti o con prevalenza di posidonia. In genere una rottura della monotonia di un fondale come può essere una roccia solitaria, un relitto, una tubatura sono richiami irresistibili per molte specie. Le batimetriche più usuali sono comprese tra la superficie e i primi 15-20 metri. Ma un ristretto numero di atleti particolarmente dotati è in grado di pescare con continuità oltre i 30 metri e raggiungere profondità vicine a 40-50.
Attrezzatura
L’attrezzatura è costituita da: fucile subacqueo, muta, pinne, maschera e aeratore, zavorra, boa segnasub. I fucili subacquei, annoverati tra gli attrezzi consentiti per la pesca sportiva dall’art. 138 lett.e del D.P.R. 1639/68, possono essere ad aria compressa oppure a propulsione elastica (arbaléte) e consentono un unico tiro a distanze relativamente modeste, contenute nel migliore dei casi entro 3–4 m. È preferibile per lunghe permanenze in acqua l’utilizzo di una muta umida con particolari caratteristiche di coibentazione, aderenza ed elasticità. Le mute normalmente utilizzate hanno spessori compresi tra 3,5 e 7–8 mm. e sono da preferire senza cerniere e monofoderate, di colore scuro o mimetiche per meglio dissimulare la presenza del pescatore. Le pinne sono generalmente lunghe con pala in tecnopolimero o nelle versioni più moderne in composito (fibra di carbonio o fibra di vetro). La maschera deve garantire buona vestibilità, ottimo campo visivo e volume contenuto. Questa ultima caratteristica assume maggiore importanza nel caso di immersioni profonde nelle quali è necessario compensare l’aumento della pressione con l’immissione di piccole, preziose, quantità d’aria, per evitarne lo schiacciamento e l’effetto ventosa che ne deriva. Maschere di dimensioni estremamente contenute consentono di ridurre in modo significativo la quantità d’aria necessaria ma limitano la visuale e possono essere poco confortevoli da indossare. L’aeratore è un tubo, preferibilmente corto e largo, che permette la respirazione al subacqueo in superficie. La zavorra è costituita da una cintura che trattiene saponette di piombo, mediamente di 1 kg. l’una, in quantità relativa alla profondità d’esercizio e allo spessore della muta. La boa segnasub è un galleggiante, gonfiabile o rigido, recante una bandiera rossa con striscia diagonale bianca, segnale di uomo immerso. È forse l’accessorio più essenziale di un corredo per la pesca in apnea, oltre che obbligatorio a norma di legge. Possibilmente di dimensioni generose che ne permettano l’avvistamento da grande distanza. Il pescatore deve operare in un raggio di 50 m dalla verticale della boa e le imbarcazioni possono transitare a non meno di 100 m dalla stessa per evidenti ragioni di sicurezza.
Impatto biologico
Sebbene il nostro paese abbia una lunga tradizione di campioni, la pesca in apnea è esercitata da un numero esiguo di appassionati, rispetto alla totalità dei pescatori ricreativi, valutato in circa il 3% da studi effettuati in altri paesi (Spagna e California USA).Il gravoso impegno fisico necessario per catturare le prede che ne limita il numero di praticanti, il fatto che la caccia in apnea sia condotta in ambiente ostile per l’uomo, l’affermarsi di tecniche di pesca all’aspetto e all’agguato che premiano la difficoltà della cattura singola o di esemplari di dimensioni ben superiori alle prede della pesca di superficie, rendono la pesca in apnea una forma di pesca meno aggressiva. Nella piramide delle responsabilità del prelievo ittico alla pesca professionale è attribuito il 93%, a quella di superficie il 6,3%, e alla pesca in apnea lo 0,3%. La caratteristica capacità di selezionare le prede ne fa un sistema di pesca, se praticato in termini di legge, compatibile con le esigenze di tutela di alcune specie ittiche ove necessaria o con una eventuale regolamentazione della pesca in determinate aree a differenza di sistemi di pesca a maggiore impatto e minor selettività come ad esempio il palamito o le reti da posta. Questo concetto: “La pesca subacquea è l’attività più selettiva tra i diversi tipi di RF -Soliva, 2006” è espresso al paragrafo 2.2.2 pag. 8 di uno studio della FAO. La caratteristica di alcune specie come la cernia o le corvine che adottano come strategia difensiva il rifugio in tana negli agglomerati rocciosi le espone in modo maggiore a questa tecnica di pesca inducendone un allontanamento dalla zone più vicine alla superficie. L’allontanamento e la riduzione di queste specie non è, però, imputabile alla sola pesca in apnea ma alla pressione complessiva di tutta la pesca sia amatoriale che professionale. Una recente pubblicazione dimostra che queste specie si riducono anche in zone dove questa è proibita. Lo stesso studio dimostra nelle zone a riserva parziale, dove sono consentiti diversi tipi di pesca professionale e ricreativa di superficie ad eccezione della pesca in apnea, una equivalenza in termini di quantità e taglia di specie bersaglio come il sarago maggiore, il sarago puntazzo, la cernia bruna e le corvine rispetto alle zone esterne non protette. Altri lavori rilevano un aumento sia di quantità che di taglia delle specie presenti ma esclusivamente nelle zone a riserva totale. Diversamente dalla pesca in apnea amatoriale, le gare di pesca possono comportare un maggiore impatto sulla popolazione dei tratti interessati. È probabile che la concentrazione di atleti di alto livello, la frequenza delle competizioni in determinati tratti di costa comporti una riduzione sensibile di numero e taglia della cernia. In Italia, da qualche anno, la Fipsas ha abolito la cernia dalle competizioni agonistiche. La riduzione della presenza di questo serranide nel Mediterraneo è comunque generale, per questo alcuni paesi (Francia) ne hanno vietato la pesca sia con la lenza che subacquea.
Tecniche
Nella pesca in apnea esistono diverse tecniche, ciascuna adatta a diverse situazioni di pesca e per catturare diversi tipi di prede. Un bravo pescatore apneista è in grado di decidere quale tecnica attuare in funzione delle condizioni ambientali e dei propri obiettivi. Le tecniche di base sono tre:
• Pesca all’agguato
• Pesca all’aspetto
• Pesca in tana
Fisiologia
Le informazioni qui riportate hanno solo un fine illustrativo: non costituiscono e non provengono da prescrizione né da consiglio medico.La pesca in apnea è un’attività sportiva molto complessa e difficile. Per questo il pescatore deve conoscere la fisiologia dell’immersione in apnea finalizzata alla pesca per evitare di incorrere in incidenti.L’immersione in apnea provoca profonde modificazioni della normale fisiologia umana; in particolare già al semplice contatto del viso con l’acqua si instaurano modificazioni a carico dell’apparato cardiocircolatorio, il fenomeno, comune nell’uomo e nei mammiferi marini e noto come Diving Reflex o Riflesso d’immersione, consegue alla stimolazione dei recettori del nervo trigemino presenti nell’area frontale, periorbitaria e zigomatica.
Gli adattamenti cardiocircolatori conseguenti al Diving Reflex sono caratterizzati da:
• Vasocostrizione periferica;
• Aumento della pressione arteriosa;
• Bradicardia
• (diminuzione della frequenza cardiaca);
• Aumento della portata cardiaca;
• Splenocontrazione (spremitura della milza).
Tali modificazioni, temporanee e completamente reversibili alla sospensione dell’attività subacquea in apnea, hanno la finalità di favorire l’ossigenazione dei cosiddetti organi nobili (cuore, cervello, fegato e rene) per non esporli a danni da ipossia – anossia. Altro adattamento dell’organismo alle modificate condizioni ambientali è il Blood Shift o Emostorno, fenomeno questo che porta ad un maggiore afflusso di sangue nel circolo polmonare per evitare lo schiacciamento toracico da parte dell’aumentata pressione ambientale, infatti il sangue è un liquido e come tale incomprimibile proprietà che annulla l’effetto della pressione sulle strutture anatomiche toraciche. Nella terminologia subacquea, quando si parla di apnea, si vuole indicare una interruzione volontaria della respirazione, la cui durata è strettamente dipendente dalle percentuali di ossigeno (02) e di anidride carbonica (CO2) nel sangue, nel senso che la stimolazione chimica dei centri respiratori (conseguente all’aumento del livello ematico della CO2) porterà all’interruzione dell’apnea (break point). Certamente, vi sono delle variabili individuali che influenzano la durata dell’apnea: capacità polmonare, consumo di 02, produzione di CO2, consumo metabolico generale e adattamento ambientale. E comunque evidente che i tempi di permanenza sono sempre limitati dalla comparsa del break point dell’apnea. La durata dell’apnea si divide in due fasi:”Easy-going phase”, detta anche fase del benessere, interrotta dal break-point cosiddetto “fisiologico”, che consegue a fattori fisiologici, come la pressione parziale della Anidride Carbonica (C02) alveolare, che in questa fase ha un valore di circa 46 millimetri di mercurio (mmHg);”Struggle phase”, detta fase della sofferenza, in cui s’innescano tutti quei meccanismi (dispnea da fame d’aria, contrazioni diaframmatiche) che porteranno al break-point “convenzionale” dell’apnea. Si tratta di una fase strettamente condizionata dalle variabili individuali precedentemente elencate.