Gli antichi la praticavano su larga scala, soprattutto a Gibilterra e nell’Ellesponto. Gli arabi l’hanno introdotta in Spagna e in Sicilia. La pesca del tonno era diffusa in tutta la Sicilia, prova ne sia che su tutto il suo litorale anticamente sorgevano tonnare.Il modo di pescare è vario secondo il luogo e la stagione: in Francia, sulle coste della Linguadoca, si stabiliscono dei posti di guardia elevati che segnalano l’arrivo dei tonni e la direzione nella quale procede la formazione. Al segnale delle vedette prendono il mare molti battelli già approntati in precedenza, che, sotto la guida di un capo, formano un ampio semicerchio con le reti e spingono il pesce verso terra. Quando l’acqua è molto bassa, si getta l’ultima rete e si trae sul lido il bottino.Il tonno preso nella mattanza viene venduto fresco ai mercati del pesce o avviato all’industria conserviera. Il tonno può subire vari processi di conservazione che vanno dall’affumicatura alla salagione. Molto più spesso viene cotto a vapore e conservato in scatola o sotto vetro sia al naturale che in olio. Molto pregiata è la bottarga e apprezzato anche il lattume.
La tonnara in Italia
File:La tonnara di Favignana in un dipinto di Antonio Varni.jpgIn Italia la pesca del tonno vanta una antica tradizione e ha ancora una grandissima importanza. in Sicilia è stata introdotta dagli Arabi intorno all’anno 1000, mentre in Sardegna sin dal 1400, introdotta dagli Spagnoli, che ne avevano imparato l’uso proprio dagli Arabi. Nel 1600 arriva in Liguria. Nel 1800 ci fu la massima espansione.Nel corso dei secoli sono sorte tonnare in Liguria (Camogli), in Sardegna (Carloforte, l’unica ancora attiva nel Mediterraneo e Portoscuso), in Campania (Conca dei Marini sino al 1956), in Calabria (Palmi) e soprattutto in Sicilia (le più grandi), con le tonnare di Scopello, Trapani, Capo Granitola, Bonagia, San Vito Lo Capo, Porto Palo e a Favignana.
La mattanza in Sardegna
Viene effettuata per mezzo di grosse reti. Queste, vere costruzioni di corde e di maglie, si chiamano tonnare e, secondo la loro posizione, vengono distinte in anteriori e posteriori; lo specchio di mare dove le tonnare vengono gettate deve avere una profondità di almeno 35 metri. Le varie “camere” di queste reti non hanno fondo e perciò una buona parte di esse deve rimanere stesa immobile sul fondo.L’ultima camera, detta la camera della morte, è l’unica ad essere chiusa in basso, perché viene sollevata con i tonni prigionieri quando si dà inizio alla mattanza vera e propria.Quando si avvicina il tempo propizio, le pescherie si animano di grande fervore: il padrone sorveglia il lavoro e le occupazioni dei suoi uomini, aiutato in ciò dal Rais, o comandante dei pescatori. Rais è parola che in arabo significa capo o direttore e rivela come gli arabi abbiano avuto la loro importanza nell’insegnare la tecnica della pesca. Uomo sempre di specchiata fedeltà, il Rais deve avere grandi cognizioni sul fondo del mare e sui costumi del tonno, deve provvedere ad edificare la costruzione delle reti in modo che la burrasca non le danneggi e deve altresì sorvegliarle continuamente. È necessario perfino che sia un buon meteorologo e che sappia presagire le condizioni del tempo e, finalmente, il giorno della pesca, egli deve assumere il comando generale. Generalmente questi Rais hanno una lunga esperienza e sono trattati con grande rispetto. Terminati i preparativi, che impegnano tutto il mese di aprile, nel mese di maggio le tonnare vengono messe fuori, ossia vengono disposte nello specchio d’acqua adatto.I tonni procedono sempre con molta regolarità, ma è solo una leggenda quel che credevano gli antichi, che tengano il fianco destro rivolto verso la spiaggia, dato che non vedono con l’occhio sinistro.Il pesce che incappa nella prima grande camera della rete non pensa a tornare indietro, ma cerca di attraversare l’ostacolo, smarrendosi nelle camere vicine. Speciali esploratori badano che il tonno imbocchi la via della rete: essi riescono a distinguere i pesci sott’acqua anche quando la profondità è tanta che un tonno sembra avere la mole di una sardina e riescono perfino a contarli. A volte, per agevolare l’ispezione, essi gettano la lanterna, ossia un osso di tonno legato ad una pietra; il chiarore illumina il fondo. Se il Rais si accorge che la prima camera è troppo piena, cerca di sospingere i pesci verso le successive, adoperando un pugno di sabbia che spaventa quei timidissimi animali come una gragnuola di sassi che cada dal cielo. Dopo ogni osservazione, il Rais rende conto al padrone del numero dei tonni nelle varie camere, ecc. Quando la rete è piena a sufficienza, si dà inizio alla mattanza; tutto il paese partecipa all’ansietà dei pescatori a volte perfino da località lontane arrivano personalità per assistere allo spettacolo.Nella notte precedente, il Rais provvede a spingere tutti i tonni di cui è stata decisa la morte nell’anticamera o camera d’oro, così chiamata, perché il pesce che entra in quella parte si può contare come oro sonante; viene anche scelto il Santo che proteggerà le operazioni. La mattina della mattanza, il Rais si reca prima del sorgere del sole sulla tonnara e spinge i tonni nella camera della morte; intanto, sul lido, una gran folla aspetta, armata di binocoli, il segnale del Rais, che, agitando una bandiera, annuncia che tutto è pronto. La confusione che segue questo momento è facilmente immaginabile: i battelli carichi di pescatori e di spettatori si muovono dal lido e si dispongono nell’ordine in cui debbono avvicinarsi alla camera della morte.Il Rais sceglie il suo posto e comanda l’attacco come farebbe un generale il giorno della battaglia.Fra gli urli incessanti dei pescatori si comincia a tirar fuori la rete con grande regolarità; più la rete viene tirata, più il cerchio dei battelli si restringe e un ribollire crescente dell’acqua annuncia che i tonni stanno per essere tirati a galla. Alla fine il Rais dà il segnale della strage; uno spaventevole rumore s’innalza prodotto dai tonni che si agitano sentendosi vicini alla morte, fanno ribollire l’acqua. I “carnefici” lavorano con furore, perché hanno diritto ad una parte del bottino e cercano di uccidere i tonni più grossi; se un uomo cade in acqua, nessuno gli dà soccorso come nella battaglia non si dà aiuto ai feriti. Dopo un’ora non vi sono più pesci e il mare è tinto di rosso per una vasta distesa; quando i battelli ritornano verso il lido, un urlo tonante li accoglie e subito si procede alla divisione delle prede. In tutte le stragi, tranne che nell’ultima, si è soliti non uccidere tutti gli animali: ne resta sempre un centinaio che serve da esca ai tonni che passeranno successivamente. In una stagione favorevole si arrivano a fare fino a otto mattanze.
La mattanza nel Trapanese
Le tonnare trapanesi sono state nei secoli le più floride e importanti del Mediterraneo. Il tonno che viene pescato è il più grosso perché giunge alla fine del suo migrare. Il lavoro dei tonnarotti inizia in aprile quando vengono poste in mare una serie di reti che possono raggiungere anche i 4 o 5 km a formare la varie camere e, data la loro disposizione, inducono i tonni ad addentrarsi sempre più nelle maglie interne fino ad arrivare alla cosiddetta “camera della morte”. In maggio, dalle tonnare, partono le barche, una sorta di chiatte, che agli ordini del Rais parteciperanno alla mattanza. Questa viene compiuta accerchiando le reti e tirandone poco a poco sulle barche i lembi esterni finché affiorano i tonni che vengono presi dalle barche con degli arpioni che causano la perdita del sangue dei pesci. Questo tipo di pesca va comunque scomparendo a causa della diminuzione della popolazione ittica dei tonni a causa dell’inquinamento crescente del mare, ma soprattutto a causa della pesca di tipo industriale che intercetta i banchi di tonni molto prima che questi si avvicinino alle zone costiere.